L’universo giapponese, capace di unire leggerezza, funzionalità e sacralità, è sempre stato motivo di fascino e fonte d’ispirazione per il mondo dell’arte: dalla pittura alla moda, dalla letteratura al cinema.
Architettura e design, in questo, non si sono mai tirati indietro, rappresentando un terreno fertile di sperimentazione per tecniche e materiali che fanno omaggio alla terra del sol levante.
Tra un sushi e un tatami, tra una geisha e un bonsai, l’antica pratica dell’origami è ciò che, fino ad oggi, ha maggiormente stimolato la fantasia dei designer.
Per chi non ne avesse mai sentito parlare, l’origami è la tecnica di piegare la carta al fine di creare dei modelli tridimensionali (dal giapponese “ori”= piegare e “kami”= carta), assumendo, per la cultura orientale, una valenza simbolica oltre che estetica. Tale pratica, infatti, è legata all’adorazione delle divinità, non per niente chiamate anch’esse Kami.
La carta, quindi, diventa per il Giappone un materiale sacro e privilegiato, capace di assumere infinite sfaccettature semplicemente piegandosi su sé stessa. Tuttavia, sostituirla con altri materiali, capaci di offrire una maggiore resistenza (quali plastica, tessuto o cartone riciclato), ha permesso di trovare un compromesso fra oriente e occidente, mantenendo viva la tecnica dell’origami e declinandola secondo nuove esigenze.
Emblematico è l’esempio della Flux Chair, nata nel 2008 dalla genialità di uno studio olandese e realizzata a iniezione attraverso un unico stampo in polipropilene. Bella, semplice, raffinata, disponibile in vari colori, adatta sia per interni che per esterni, robusta (a dispetto di quanto si potrebbe pensare!) e soprattutto portatile come se fosse una semplice cartella con tanto di manico, la Flux Chair si è aggiudicata nel 2011 il Gran Design Award, combinando in modo esemplare ingegneria e design.
Rende omaggio alla pratica dell’origami anche la Elephant Seating, concepita dal designer Ben Ryuki Myiagi attraverso la piegatura e l’incollaggio di strati di feltro naturale. Il nome deriva dalla somiglianza con un elefante in termini di colore e consistenza, oltre ai braccioli che rimandano alle grandi orecchie di questi animali.
Lo sgabello Kada è un arredo multiuso formato da piani in legno e da una membrana, in tessuto o plastica, ripiegabile in un unico pannello. Chiuso occupa un minimo ingombro, aperto, invece, può essere utilizzato come sgabello o coffee-table, con seduta che diventa vassoio e viceversa.
Di casa svedese, il Grand Central Table è un tavolo minimale costituito da quattro sostegni richiudibili in due e da un piano d’appoggio di forma tonda che, come una classica vecchia mappa urbana, si ripiega in ventidue pezzi occupanti un unico spazio. Anche chiuso, questo progetto diventa un arredo originale e raffinato, indubbiamente degno di nota.
Il mondo dell’architettura, del resto, non è da meno.
Fra tutti i progetti ispirati all’antica tecnica giapponese, quello che voglio proporvi è la cappella di Saint-Loup, realizzata in un piccolo comune svizzero come cappella provvisoria da utilizzare durante la ristrutturazione della chiesa madre. La struttura è formata da pannelli di legno massiccio, estremamente sottili grazie all’inserimento di lamiere in acciaio, che, attraverso la disposizione a pieghe tipica dell’origami, si stabilizzano l’uno con l’altro. Uno straordinario esempio di “architettura d’emergenza” atto a divenire un vero e proprio prototipo: flessibile, leggero, versatile, adatto ad essere spostato all’occorrenza, smontabile e ri-montabile ovunque.
Qualora non si fosse capito, sono letteralmente rapita e affascinata dal meraviglioso mondo dell’origami e potrei continuare a postare progetti a oltranza, ma… temo di dovermi imporre un limite!
Prima, però, vi lascio con una carrellata di immagini altrettanto interessanti.. segno di un design che si alimenta della contrapposizione fra culture diverse.
Come dire, un design… che non fa una piega!
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